Il 25 aprile ci riporta alla "porosità" dell'essere

(di Alberto DE LUCA)


In quanto umani siamo naufraghi di una tempesta emotiva che ci fa battere il cuore. L'angoscia prende, tortura e manda in fibrillazione la vita. La mano sul cuore percepisce i battiti che accelerano all'improvviso come eccitati da uno sparo. È quello che accade a ognuno di noi in questo giorno di liberazione in cui il confine è ancora chiuso. Un limite che ha perso "porosità" e si è irrigidito.

Un confine che non richiama più l'altro, ma lo respinge, per una causa maggiore e paradossale. Una linea oltre la quale non è più consentito andare. Il timore di qualcosa incombe sulla vita, mette ansia nel cuore, fino a raggiungere il caos. Il disordine è una nuova malattia ancora più subdola e meschina di un virus. L'attacco di panico e la depressione sono i nuovi pericoli che avanzano.

La paura di morire o di non sapere sopravvivere, si innestano nella mente e colpiscono come pugnalate il cuore con palpiti anomali e dolore. La mano sul petto e il respiro profondo alleviano la pena, ma non la curano. Serve la vicinanza che non riconosce il confine, che non resiste alla forma rigida, ma mira a riconquistare la porosità dell'essere.

La vita, impregnata dell'altro a prescindere dalla paura della morte che incombe sugli esseri umani, è la vittoria sul male che aveva spento la speranza. La forza della vita  supera il confine imposto e s'interseca come prima, senza più l'angoscia del presente.  La chiusura coatta del mondo e degli uomini non è più sopportabile o accettabile. La presa di coscienza vince su ogni  paura, compresa la tensione emotiva che  fa fibrillare il cuore nel giorno della liberazione. 


 

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