Calabria: “Caro ammalato se vuoi curarti scendi in piazza”

(di Alberto DE LUCA)


Nel libro di Michele Bocci e Fabio Tonacci, intitolato “La Mangiatoia”, pubblicato da Mondadori per Mondolibri, Milano, si parla di come la sanità è diventata il più grande affare d’Italia. Nell’introduzione al testo, i due autori citano l’articolo trentadue della Costituzione che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e avvertono che nel mondo attuale tutto ciò non vale più. Per Bocci e Tonacci ci sono malati di serie A e di serie Z. La colpa è di chi ha amministrato in maniera scellerata il sistema sanitario negli ultimi vent’anni anche costruendo interessi privati sulla salute degli italiani trasformando l’occasione del federalismo sanitario in un fallimento.

Nonostante la qualità dell’assistenza sanitaria sia spezzettata e gli italiani quando hanno bisogno di cure non sono tutti uguali poiché le prestazioni sanitarie dipendono da dove si vive anche in una città piuttosto che in un’altra, il sistema sanitario nazionale italiano è da considerarsi un esempio, unico al mondo, di garanzia per la salute di tutti i cittadini. Tuttavia, gli stanziamenti economici a sostegno della sanità pubblica italiana sono il cinquanta percento in meno rispetto a quelli previsti dallo Stato tedesco.

Per comprendere a fondo il valore del sistema sanitario nazionale italiano bisogna confrontarlo con altri apparati esistenti al mondo. In America, per esempio, prima di un trapianto, al paziente è richiesto di poter sostenere tutte le spese di assistenza sanitaria anche per gli anni successivi all’operazione e fino alla fine della sua esistenza. In Italia, i trapianti e tutte le spese riguardanti il mantenimento del paziente e del suo futuro stato di salute sono a carico del servizio sanitario nazionale.

Quando dalla Calabria si è costretti a percorrere tanti chilometri per sottoporsi a un’operazione che si sarebbe potuta eseguire sotto casa, il pensiero va ai tagli della spesa pubblica da parte dello Stato in materia sanitaria e agli sprechi di denaro dovuti alla corruzione come nel caso degli scandali che hanno riguardato alcune regioni dell’Italia meridionale. Tuttavia, in Italia non mancano le eccellenze in materia di efficienza sanitaria presenti anche al sud. Al primo posto nella scaletta delle regioni italiane con la sanità migliore c’è la Lombardia seguita da altre regioni del Nord dove negli ultimi tempi la mancanza del turnover ha messo ugualmente a dura prova i sistemi di assistenza sanitaria più organizzati come nel Veneto dove il governatore ha dovuto richiamare gli anestesisti in pensione per rispondere alle esigenze dei malati.

Ciò che accomuna la sanità Lombarda a quella Calabrese sono i malati e la mancanza di medici specialisti cioè di coloro che dopo la specializzazione accedono nei vari settori d’impiego della sanità. Un primo problema deriva dall’insufficienza di borse di studio destinate ai medici laureati che aspettano di specializzarsi. Un secondo problema riguarda il blocco delle assunzioni già attivato dai governi precedenti che interessa anche i medici che pur se pronti a svolgere la loro attività non possono essere impiegati dello Stato. Tutto ciò ha contribuito ad aumentare il precariato e a far crescere il fenomeno dei cosiddetti “camici grigi” ossia di quei tanti medici, anche non specializzati, che lavorano per conto di cooperative e in affitto alle strutture sanitarie che li richiedono con contratti a tempo determinato o partita iva. Di fronte a tale situazione, molti medici e specialisti emigrano all’estero verso strutture all’avanguardia, per esempio in Inghilterra, dove è più facile intraprendere la carriera da professionisti riconosciuti attraverso contratti a tempo indeterminato e trattamenti economici molto superiori a quelli offerti in Italia.

In questo trambusto d’incertezze, tutto all’italiana, il prezzo più alto lo pagano i malati che oltre alla malattia subiscono la beffa di non vedersi più riconosciute le prestazioni sanitarie di cui hanno bisogno. In molti si rivolgono a strutture private, ma per i meno abbienti curarsi è diventato un lusso e soprattutto nella regione Calabria che nel 2018 ha pagato oltre trecento milioni di euro al Nord a causa dell’emigrazione sanitaria e nonostante il commissariamento. Il problema della spesa sanitaria non riguarda solamente i calabresi, nel 2012, poco meno di due milioni d’italiani hanno rinunciato a visite o esami medici perché non avevano soldi per pagare il ticket. Nel 2019, la situazione non è migliorata anzi in alcune regioni come appunto la Calabria ha assunto proporzioni preoccupanti con i malati costretti a prestarsi il denaro per curarsi anche ricorrendo al privato o intraprendendo i viaggi della speranza nelle regioni settentrionali.

In Italia, molti malati ogni anno si rifiutano di essere seguiti dagli ospedali della propria regione contribuendo inconsapevolmente ad aumentare il business della mobilità sanitaria che vale circa quattro miliardi di euro. Nei centri meridionali del volontariato in cui lavorano professionisti senza stipendio che offrono la propria professionalità al servizio dei malati, approdano i più poveri ma anche gli imprenditori che non trovando accoglienza nelle strutture pubbliche, preferiscono farsi visitare subito da medici competenti, in cambio di offerte libere che servono a sostenerli nel loro prezioso lavoro. Nella lotta tra potere, politica e sistema sanitario nazionale s’inseriscono anche gli sprechi che riguardano i costi delle forniture sanitarie, gli interventi come per esempio i cesari inutili che fanno sprecare molti milioni di euro l’anno e le cosiddette malattie inventate, sponsorizzate dalle stesse aziende che poi devono vendere la pillola per curare quella specifica patologia immaginaria.

In Italia e soprattutto in Calabria è urgente che la politica del fare e non dell’affare, si metta a sedere intorno a un tavolo con le varie associazioni di categoria al fine di ricreare immediatamente le condizioni necessarie a fermare la migrazione dei professionisti verso altri paesi e richiamare gli specialisti sparsi nel mondo per restituirli alla loro patria attraverso l’opportunità concreta di un lavoro adeguatamente retribuito. Intanto, i cittadini da parte loro potrebbero scendere in piazza insieme ai sindacati, ai medici e alle varie categorie di rappresentanza per accelerare i tempi e le decisioni di un governo già dormiente alla linea di partenza.


 

On Screen Facebook Popup by Infofru

Seguici su Facebook. Basta un click sul Like Button qui sotto!

Close

©Bisinews.it