Qui Milano. Il coronavirus e l'esempio della Lombardia

(di Lorenzo FABBRICATORE)


A chi vive in queste aree, confinati presso il proprio domicilio per paura di essere contagiati, ma, soprattutto, per senso di responsabilità e per dare una mano concretamente a tutti coloro che sono impegnati in prima linea negli ospedali per contrastare questo maledetto demone che imperversa, in questi giorni sembra tutto ovattato, surreale, a dir poco fantastico. Le sirene delle ambulanze che vanno e vengono danno purtroppo l’idea dei numeri in gioco. La Lombardia sta pagando il prezzo più elevato in termini di morti, contagiati e persone sicuramente positive ma che ne sono ignare. Più di 11.600 casi totali e 966 deceduti (fino ad oggi).

Si moltiplicano gli appelli a rimanere in casa e devo ammettere che la comunità osserva scrupolosamente le indicazioni delle autorità. Ora la questione si è fatta fin troppo seria. Molti avranno letto l’intervista riportata oggi domenica 15 marzo su Repubblica a Massimo Galli, ordinario dell’Università di Milano, epidemiologo e direttore del reparto malattie infettive dell’ospedale Sacco. Egli afferma, tra le altre cose, che “la battaglia si vince sul campo” con il contributo di tutti, restando a casa. “Se sul campo la battaglia va male gli ospedali vengono massacrati” continua. E’ questa l’avanguardia, che ci piaccia o meno. Se sapremo contenere il nemico su tale fronte, gli ospedali reggeranno l’urto e ne usciremo, in caso contrario rischieremo la Caporetto sanitaria e non solo in Lombardia.

E’ vero che la Lombardia è al limite delle forze, i presidi ospedalieri sono ad un passo da collasso, “stiamo rendendo elastici i muri per avere più spazio” afferma lo stesso Galli. E’ vero anche però che la cosiddetta locomotiva d’Italia sa tirare fuori, nei momenti più difficili, sempre nuove energie, sorprendenti, e che alla fine ce la farà a sconfiggere ed arrestare l’avanzata del dannato nemico.

Negli ospedali lavorano incessantemente persone, professionisti, medici, infermieri, personale sanitario e para-sanitario di ogni genere e che in questi giorni stanno dando l’anima per riuscire a curare quante più persone possibili. Molti di questi professionisti provengono anche dalle regioni del sud, si sono spostati per motivi di lavoro ed ora danno il loro valoroso contributo alla causa, perché l’Italia è una sola.

Il resto delle informazioni credo si possano desumere facilmente dai media che ci tengono informati 24 ore su 24 sull’andamento.

In tutta questa disamina però è necessario fare una considerazione. Se la Lombardia ora sta pagando un duro prezzo ciò non deve essere inutile per il resto d’Italia. Le regioni che attualmente hanno la fortuna di aver avuto pochi casi di contagio devono orientarsi nella stessa direzione. Esse hanno due grossi vantaggi:

  1. Il fronte di fuoco dell’epidemia è incentrato al nord. L’esperienza, gli errori ed i successi di questi avamposti possono rappresentare a breve un utilissimo bagaglio di informazioni per quelle aree che potrebbero essere interessate dalla onda del contagio nelle prossime settimane o giorni, ciò servirà sicuramente a ridurne l’impatto e, di conseguenza, anche il numero dei contagiati;
  2. La gestione sanitaria dell’emergenza, che ha messo in ginocchio il sistema sanitario sicuramente più efficiente d’Italia, deve indurre le altre regioni a prepararsi senza tentennamenti anche al peggio, poiché laddove vi fosse la reale necessità di usufruire di migliaia di posti letto in più, essi dovrebbero essere messi in qualche modo a disposizione e non è valido, a mio avviso, l’alibi “e ma da noi il sistema è così…”. No, se è così lo cambi ed anche in fretta, perché con questa storia si muore.

La Lombardia ha garantito per anni un sistema sanitario efficiente a disposizione dell’intera penisola per tutti coloro che ne avessero la necessità. Ora, pur in mille difficoltà sta reggendo il mostruoso urto di fronte un nemico sconosciuto e spietato. Va fatta una cosa sola da parte delle regioni in questo momento più fortunate: trarne esempio e prepararsi allo stesso modo.


 

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