Considerazione sul 9 maggio

(di Rosario PERRI)


Era il 9 maggio del 1978. Gli occhi di tutto il mondo erano puntanti sull’Italia e sul fuoco ardente fatto di terrore e alimentato dai gruppi delle Br. Nel cofano di una Renault 4 di colore rosso, in Via Caetani, veniva ritrovato il corpo del grandissimo presidente della dc, Aldo Moro. Nonostante gli accorati appelli di Paolo VI affinché il presidente venisse liberato, le Br giustiziarono Moro, dopo molti mesi di prigionia.

Nello stesso giorno, a Cinisi, paesino sperduto e dimenticato della provincia di Palermo in Sicilia, un ragazzo di 33 anni veniva trovato cadavere sui binari della ferrovia. Si chiamava Giuseppe, ma tutti lo chiamavano Peppino. Giuseppe Impastato. Il suo papà era un uomo rispettato negli ambienti mafiosi e a sua volta rispettava e difendeva le regole della vile logica mafiosa.

Peppino rifiutò di percorrere le orme del padre mafioso, anzi denunciò tutto. E sopratutto, denunciò il boss della zona, uomo molto potente e rispettato in cosa nostra, Tano Badalamenti. Si divertiva ad umiliarlo con le parole trasmettendo da una piccola radio libera. Ma sopratutto pronunciava parole piene di bellezza e speranza che provocavano le ire del papà e del boss Badalamenti.

Infatti se c’è qualcosa che la mafia, o meglio tutte le mafie, non tollerano è l’idea che qualcuno possa diffondere speranza, cultura e voglia di riscatto. Peppino usava parole di una bellezza disarmante: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre.

È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore". Torna sempre la maledetta logica del profitto contro la bellezza e il vivere in pace. Peppino abitava a 100 passi di distanza dalla casa di Badalamenti. Mal sopportava la consolidata prassi di vivere nella stessa città e frequentare gli stessi posti che frequentavano i mafiosi, perché a quella routine e a quella “normalità” la gente del luogo si era abituata, tanto da non vedere una possibile realtà diversa.

Quel mondo, sembrava l’unico possibile. Peppino non lo accettava e urlava il suo malessere e il suo essere contro. E lo faceva tutti i giorni. Tutti, fino al 9 maggio del 1978, quando la mafia lo fece a pezzi facendolo esplodere con una bomba subito dopo averlo legato ai binari. Il corteo funebre si riempì di gente che urlava e invocava il suo nome. Il fratello che accompagnava il feretro alzo un pugno al cielo, segno di resistenza e protesta.

Giovanni e la mamma Felicia iniziarono una lunga battaglia in difesa della verità e della giustizia. Badalamenti venne in seguito arrestato e condannato all’ergastolo. Non credo di sbagliare se dico che io mi sento di sinistra perché Peppino Impastato ha lasciato una grande eredità che va custodita gelosamente.

W Aldo Moro W Peppino Impastato.


 

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