(di Rosario LOMBARDO)
D’in su la collina, due-trecento passi e un fischio dietro casa, dominava solingo un olivastro. Non certo la collina di Spoon River. Neanche La collina dei conigli. La verde collina dei miei sogni fanciulli. Placida la sua frescura, d’estate, il riparo agognato nelle ore più assolate. La fragranza delle stoppie tutt’attorno, per la recente mietitura — “…che ne sai tu di un campo di grano?” — ad inebriarmi.
D’agosto, improvvisi gli acquazzoni e l’arsura della terra a saziarmi. Graziata dalla falce, fatua avena sul limitare dei declivi. E nei pressi ginestre, chiappari, il lentisco, la desolazione amica d’un perastro. La paura dei serpenti a tenermi sveglio. L’ombra spessa e ospitale il mio conforto e ristoro. Di quell’olivastro secolare, contorto, nodoso, imperioso, scolpito dalla furia dei venti e dei temporali, non ne rimane oramai che un arboscello macilento e scorticato, simulacro e rimpianto dell’esuberanza d’un tempo. I frutti piccoli, la polpa scarsa e avara, la sua natura selvatica indomabile alla scure.